39° anniversario del disastroso terremoto dell’Irpinia del 1980
Oggi 23 novembre 2019 ricorre il 39° anniversario del disastroso terremoto dell’Irpinia del 1980 che colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Alle ore 19:35 di domenica 23 novembre dell’80 una forte scossa di magnitudo 6,5-6,9 (scala Richter), della durata di circa 90 secondi con un ipocentro di circa 10 km di profondità, rase al suolo un’area di circa 17.000 km² che si estendeva dall´Irpinia al Vulture, tra le province di Avellino, Salerno e Potenza. La tragedia provocò 2.914 morti e 8.848 feriti, oltre a circa 280.000 sfollati. L’epicentro fu identificato tra i Comuni di Teora, Castelnuovo e Conza della Campania. Il terremoto colpì le province di Avellino e Salerno, oltre a quella di Potenza in Basilicata. I paesi più feriti, oltre a quelli dell’epicentro, furono Laviano, Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi. Molte lesioni e crolli avvennero anche a Napoli, interessando molti edifici fatiscenti o lesionati da tempo e vecchie abitazioni in tufo. A Poggioreale crollò un palazzo in via Stadera, probabilmente a causa di difetti di costruzione, causando 52 morti In totale. Furono 679 i Comuni colpiti in otto province: tutte quelle della Campania e della Basilicata e la provincia di Foggia in Puglia. L’entità drammatica del sisma non venne valutata subito. I primi telegiornali parlarono di una «scossa di terremoto in Campania» dato che l’interruzione totale delle telecomunicazioni aveva impedito di lanciare l’allarme. Soltanto a notte inoltrata si cominciò a evidenziarne la più vasta entità. Nella mattinata del 24 novembre tramite un elicottero vennero rilevate le reali dimensioni del disastro. Uno dopo l’altro si aggiungevano i nomi dei comuni colpiti; interi nuclei urbani risultavano cancellati, decine e decine di altri erano stati duramente danneggiati. Un altro elemento che aggravò gli effetti della scossa fu il ritardo dei soccorsi. I motivi furono molteplici: la difficoltà di accesso dei mezzi di soccorso nelle zone dell’entroterra, il cattivo stato della maggior parte delle infrastrutture e l’assenza di un’organizzazione come la Protezione Civile che consentisse azioni di soccorso in maniera tempestiva e coordinata. Il primo a far presente questa grave mancanza fu il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il quale il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani, si recò in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall’Irpinia, denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Il discorso del Capo dello Stato ebbe come effetto quello di mobilitare un gran numero di volontari che furono di grande aiuto in particolare durante la prima settimana dal sisma. Molti Paesi, in seguito alla notizia del terremoto, si attivarono per inviare alle popolazioni colpite non solo soldi per la ricostruzione, ma anche unità militari e personale specializzato. La ricostruzione fu, però, anche uno dei peggiori esempi di speculazione. Infatti, come testimonia tutta una serie di inchieste della magistratura, per le quali sono state coniate espressioni come Irpiniagate, Terremotopoli o il terremoto infinito, durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che dirottarono i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti. La prima stima dei danni, che venne fatta nel 1981, parlava di circa 8mila miliardi di lire. La cifra è lievitata nel tempo, fino a superare i 60mila miliardi di lire nel 2000 e i 32 miliardi di euro nel 2008. Secondo Sergio Rizzo, attualizzando le cifre, la stima arriva a quota 66 miliardi di euro. Una parte consistente di questi fondi andò però dispersa fra i gangli della politica corrotta e della criminalità organizzata.