Cristian De Sica «Fatemi avere le vostre favole, una di queste potrebbe diventare un film»
Bellizzi (Salerno), 6 settembre 2021 «Avete scritto delle belle favole? Fatemele avere, chissà che una non diventi un film!». Con queste parole di Christian De Sica ha preso il via la penultima giornata del Premio Fabula, il Festival della scrittura dei ragazzi dai 9 ai 20 anni ideato undici anni fa da Andrea Volpe in programma a Bellizzi.
Il Maestro ha catalizzato piccoli e grandi, facendo commuovere trasversalmente la generazione dei giovani creativi che sogna una vita nel cinema e nello spettacolo e quella parallela al grande show man italiano. Tante foto, mille sorrisi e una valanga di domande da parte dei più piccoli. «Non lo so se sono un cane nel mio mestiere ma l’affetto che ho dai ragazzi ai nonni lo sento, è enorme,
ed è una delle più belle soddisfazioni di chi fa questo mestiere», dice De Sica.
DA PICCOLO VOLEVA FARE IL POMPIERE «Ero indeciso tra il mestiere di pompiere e quello di architetto ma mio padre ci ha messo lo zampino. Ho avuto un papà con i capelli bianchi, che non poteva giocare con me a calcio né insegnarmi ad andare in bici. La sera tornava a casa, metteva le pantofole e guardava la tv. Con me e mio fratello Manuele faceva il regista: facevamo degli sketch improbabili sulla protesta dei cittadini o addirittura i suicidi. I nostri spettatori erano Stoppa, Cervi, Sordi, la Loren…Alla fine il cinema, la tv, il teatro mi sono sembrati una strada ovvia».
104 FILM IL PROSSIMO A NATALE CON SIANI «L’ultimo è in uscita per questo dicembre: il mio secondo film con Alessandro Siani, “Chi ha incastrato Babbo Natale”, nel quale io sono il “Babbo Cazzimma” come si dice da queste parti. Vanzina mi ha dato il successo, grazie al primo “Vacanze di Natale”, è merito di mia moglie Silvia invece se ho aggiunto alla mia carriera il teatro. Le donne sono magiche, hanno una grande qualità: ci sopportano. E poi, una donna innamorata fa fare al marito quello che un uomo da solo non potrebbe fare».
IL RICORDO DI PAPÀ CHRISTIAN «Mio padre mi ha insegnato che gli attori sono bambini non cresciuti, questo li rende fragili ma anche superiori. Essere disincantati e provare meraviglia è l’arma. Quando ho perso papà sono volato a Parigi. Prima di morire chiese un whisky con ghiaccio: strano, non beveva superalcolici. Mi avvicinai e mi disse: “Stai vicino a mamma, è più ragazzina di te, Manuele è un musicista e ha la testa tra le nuvole…Guarda che fondoschiena ha l’infermiera!”. In un momento così tragico mi voleva far ridere, io mi girai verso di lei e quando tornai a guardare papà era finito».
IL SUO LEGAME CON SALERNO «Tornare da queste parti è come tornare a casa, tutta la mia famiglia è di Salerno: la città ha anche dedicato una via a mio zio, Ottavio, pianista del grande Caruso. Grazie per questa meravigliosa accoglienza».